Leggere la poesia (...ad alta voce) 2023

Nel corso del 2023 abbiamo lavorato con i ragazzi della scuola secondaria di II grado e con i loro insegnanti al progetto Leggere la poesia (...ad alta voce), un modo nuovo e antichissimo, per riscoprire la sonorità della poesia

Dare voce alla poesia, fare sì che i versi intonino la loro voce, è un’esperienza preziosa e necessaria. Per il grande poeta Giuseppe Ungaretti solo la voce può fissare il testo poetico nella sua forma definitiva, oscurata dal silenzio della scrittura. Per lo scrittore argentino Jorge Luis Borges “la vera poesia non può essere letta mentalmente ma occorre dirla)

Poiché la forma poetica è il modo in cui si dà corpo ad una voce, interpretare una poesia sui dati prosodici, retorici e semantici, senza mai avere “eseguito” la sua voce è come ragionare su uno spartito musicale senza mai provare a suonare il brano in questione o averlo mai ascoltato prima.

 

Hanno aderito al progetto 2023

I.T.S.T J.F. Kennedy - Pordenone

Classe 2O - Prof.ssa Stefania Artich

Classe 2N – Prof.ssa Lucia Brusadin

Classe 2P - Prof.ssa Stefania Artich

Classe 4AMM - Prof.ssa Alessandra Magoni

 

Liceo M. Flaminio, Vittorio Veneto (TV)

2Asc - Prof.ssa Margherita Tramontano

2Bsc - Prof.ssa Nicole Riva

2Dsc - Prof.ssa Margherita Tramontano

3Acl - Prof. Stefano Colmagro

 

Liceo M. Grigoletti, Pordenone

3 Bsci - Prof.ssa Claudia Bruno

4Bsci - Prof.ssa Alessandra Pavan

 

Liceo G. Leopardi -E. Majorana, Pordenone

2Au - Prof.ssa Anna Ferrara

2Cc - Prof.ssa Antonella Polesel

3Eu - Prof.ssa Annarosa Francescut

3Fu - Prof.ssa Valentina Magnino

4D - Prof. Roberto Cescon

I.T.S.T J.F. Kennedy - Pordenone

Classe 2O - Prof.ssa Stefania Artich

Classe 2N – Prof.ssa Lucia Brusadin

Classe 2P - Prof.ssa Stefania Artich

Classe 4AMM - Prof.ssa Alessandra Magoni

 

Liceo M. Flaminio, Vittorio Veneto (TV)

2Asc - Prof.ssa Margherita Tramontano

2Bsc - Prof.ssa Nicole Riva

2Dsc - Prof.ssa Margherita Tramontano

3Acl - Prof. Stefano Colmagro

 

Liceo M. Grigoletti, Pordenone

3 Bsci - Prof.ssa Claudia Bruno

4Bsci - Prof.ssa Alessandra Pavan

 

Liceo G. Leopardi -E. Majorana, Pordenone

2Au - Prof.ssa Anna Ferrara

2Cc - Prof.ssa Antonella Polesel

3Eu - Prof.ssa Annarosa Francescut

3Fu - Prof.ssa Valentina Magnino

4D - Prof. Roberto Cescon

LO SVILUPPO DEL PROGETTO 

Il lavoro con le classi è stato realizzato in diverse fasi:

Prima con due lezioni introduttive sulla sonorità della parola e sui fondamenti della metrica a cura di due tra le più autorevoli voci poetiche italiane Stefano Dal Bianco, poeta, critico stilistico e docente di letteratura italiana all’università di Siena, e Gian Mario Villalta, poeta, insegnante e direttore artistico di Pordenonelegge.

Sono quindi stati assegnati 5 testi poetici corredate da essenziali indicazioni di lettura:

Francesco Petrarca, Sonetto 279 (Se lamentar augelli…) del Canzoniere

Ugo Foscolo, A Zacinto

Giacomo Leopardi, L’Infinito

Eugenio Montale, I limoni da Ossi di seppia (1925)

Vittorio Sereni, La spiaggia da Gli strumenti umani (1965)

A seguire, in classe gli studenti, sotto la preziosa guida dei loro insegnanti, hanno studiato, interpretato e prodotto la lettura, registrata su file audio, di una delle poesie assegnate

Le letture più significative sono quindi state scelte dai curatori del progetto e hanno costituito il cuore di un incontro dedicato durante il festival pordenonelegge condotto da Gian Mario Villalta e Nicola Gardini, scrittore e professore di Letteratura italiana e comparata all’Università di Oxford, e alla presenza di studenti, insegnanti e pubblico.

 

Il lavoro con le classi è stato realizzato in diverse fasi:

Prima con due lezioni introduttive sulla sonorità della parola e sui fondamenti della metrica a cura di due tra le più autorevoli voci poetiche italiane Stefano Dal Bianco, poeta, critico stilistico e docente di letteratura italiana all’università di Siena, e Gian Mario Villalta, poeta, insegnante e direttore artistico di Pordenonelegge.

Sono quindi stati assegnati 5 testi poetici corredate da essenziali indicazioni di lettura:

Francesco Petrarca, Sonetto 279 (Se lamentar augelli…) del Canzoniere

Ugo Foscolo, A Zacinto

Giacomo Leopardi, L’Infinito

Eugenio Montale, I limoni da Ossi di seppia (1925)

Vittorio Sereni, La spiaggia da Gli strumenti umani (1965)

A seguire, in classe gli studenti, sotto la preziosa guida dei loro insegnanti, hanno studiato, interpretato e prodotto la lettura, registrata su file audio, di una delle poesie assegnate

Le letture più significative sono quindi state scelte dai curatori del progetto e hanno costituito il cuore di un incontro dedicato durante il festival pordenonelegge condotto da Gian Mario Villalta e Nicola Gardini, scrittore e professore di Letteratura italiana e comparata all’Università di Oxford, e alla presenza di studenti, insegnanti e pubblico.

 

GLI ESITI DEL PROGETTO

Per vedere le videolezioni di Stefano Dal Bianco e Gian Mario Villalta clicca sui loro nomi a seguire: 

 Stefano Dal Bianco

 Gian Mario Villalta

 

Qui i file audio prodotti e il commento curatoriale

La classe 3FU – Liceo Leopardi Majorana (PN) legge Sonetto 279 di Francesco Petrarca

Clicca qui per ascoltare

Sonetto 279 (Se lamentar augelli…) di Francesco Petrarca

Se lamentar augelli, o verdi fronde
mover soavemente a l’aura estiva,
o roco mormorar di lucide onde
s’ode d’una fiorita et fresca riva,
 
là ’v’io seggia d’amor pensoso et scriva;
lei che ’l ciel ne mostrò, terra n’asconde,
veggio et odo et intendo ch’anchor viva
di sì lontano a’ sospir’ miei risponde:
 
«Deh, perché inanzi ’l tempo ti consume?
– mi dice con pietate – a che pur versi
degli occhi tristi un doloroso fiume?
 
Di me non pianger tu, ché’ miei dì fersi,
morendo, eterni, et ne l’interno lume,
quando mostrai de chiuder, gli occhi apersi».

 

Commento: Canzoniere, 279 è la scelta di un testo di Francesco Petrarca che magnifica la relazione tra metrica e sintassi: l’andamento prosodico trattiene dal “chiudere” l’ordine sintattico, e così esalta le contrapposizioni di tempi, luoghi, sentimenti. Una nota: “i miei dì fersi morendo eterni” forse avrebbe voluto una sospensione brevissima dopo “fersi”. Per il resto la lettura, pur mantenendo una certa rigidità, coglie il rapporto tra il movimento grammaticale e quello prosodico, producendo scelte espressive sempre calibrate. Petrarca è infernale, da questo punto di vista, e solo una lettura ad alta voce rende conto davvero delle sue magie stilistiche: non pronunciati come si deve, dopo averci ragionato, alcuni suoi versi sembrano privi di senso o di ragioni metriche adeguate. Petrarca è uno dei banchi di prova più difficili della nostra tradizione (pronunciare ad alta voce “il suono dei sospiri” che percorre tutto il Canzoniere non è facile, infatti).

 

 

La classe 2AU - Liceo Leopardi Majorana (PN) legge A Zacinto di Ugo Foscolo

Clicca qui per ascoltare

A Zacinto di Ugo Foscolo

Né più mai toccherò le sacre sponde
ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell’onde
del greco mar da cui vergine nacque
 
Venere, e fea quelle isole feconde
col suo primo sorriso, onde non tacque
le tue limpide nubi e le tue fronde
l’inclito verso di colui che l’acque
 
cantò fatali, ed il diverso esiglio
per cui bello di fama e di sventura
baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.
 
Tu non altro che il canto avrai del figlio,
o materna mia terra; a noi prescrisse
il fato illacrimata sepoltura.

 

Commento: Questo sonetto ha come difficoltà di lettura il modo in cui prende respiro l’attacco, frequente di accenti, con i tre monosillabi (né più mai) e come poi riuscire a distendere la voce, attraverso il lunghissimo periodo e i numerosi enjambement con i rejet abbastanza pesanti sulla lettura. Foscolo vuole “aprire” i versi a un’estensione che è insieme sentimentale e epica, protraendo al massimo il lungo periodo che fa da “premessa” alla dolorosa terzina dell’esule. La voce che legge non è matura, è sottile, sospesa a un filo, e forse enfatizza, per aiutarsi, un po’ troppo ogni fine-verso. Però non trascura i valori in gioco e porta fino in fondo una lettura che mostra la tensione tra l’intento classicistico (volontà di una forma stabile, monumentale, eloquente), e il sentimento, l’empatia, la nostalgia romantica che pervade il testo. La scelta di un attacco così scandito a pause offre motivo di riflessione

NOTA - Enjambement e Rejet. Enjambement: si rompe l’attesa corrispondenza tra la scansione metrica di un verso e il suo ordine sintattico, così che viene meno la coincidenza tra la fine di un verso e la chiusura sintattica della frase. Per i valori sonori si attenda a una sospensione del verso all’a capo / e alla ripresa nel verso successivo; forse si capisce ancora meglio dicendo che in italiano per molto tempo si usava “inarcatura dei versi” o “incavalcatura dei versi”. Il verso si tende “oltre” l’attesa chiusura coincidente di metrica e sintassi, e riprende la sintassi dentro la scansione del verso successivo. Per questo è importante valutare il rejet (l’inizio del verso seguente): sarà più vicino o più lontano dalle attese sonore e grammaticali e/o sarà più o meno intonato alla scansione del verso del quale è l’inizio.

 

 

La classe 2Cc - Liceo Leopardi Majorana (PN) legge L’infinito di Giacomo Leopardi

Clicca qui per ascoltare

L’infinito di Giacomo Leopardi

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.

 

Commento: La lettura dell’Infinito deve essere, come questa, lenta, con il rispetto di tutte le pause interne e di tutti gli incontri di vocali (i quali, quando non formano sinalefe, ottengono di dilatare il respiro del verso). Gli endecasillabi “sciolti”, cioè senza uso schematico della rima, richiamano la scansione classica del verso, che ha metrica quantitativa (dove domina non l’accento ma la durata della sillaba pronunciata) e il classicismo settecentesco rende con il rallentamento del verso e la repressione della “cantabilità”; però Leopardi sfrutta la lingua volgare (che ha metrica sillabico-accentuativa) per farla armonizzare mediante sonorità interne.

NOTA - Sinalefe: quando le due vocali, finale di una parola e inizio della successiva, si legano nella lettura in modo da formare un’unica sillaba (la sillaba è la coincidenza – o unità – tra una singola articolazione fonatoria e una singola emissione di fiato: diverse saranno quindi le sillabe di ogni singola parola da quelle della viva pronuncia di una frase).

 

La classe 3Acl - Liceo M. Flaminio legge  (Vittorio Veneto-TV) I limoni di Eugenio Montale

Clicca qui per ascoltare

I limoni di Eugenio Montale

Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.
 
Meglio se le gazzarre degli uccelli
si spengono inghiottite dall'azzurro:
più chiaro si ascolta il susurro
dei rami amici nell’aria che quasi non si muove,
e i sensi di quest’odore
che non sa staccarsi da terra
e piove in petto una dolcezza inquieta.
Qui delle divertite passioni
per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
ed è l’odore dei limoni.
 
Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s’abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.
Lo sguardo fruga d’intorno,
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno piú languisce.
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata Divinità.
 
Ma l’illusione manca e ci riporta il tempo
nelle città rumorose dove l’azzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s’affolta
il tedio dell’inverno sulle case,
la luce si fa avara – amara l’anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo del cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d’oro della solarità.

 

Commento: È una poesia che chiede una disciplina del respiro: il famoso “pedale lungo” di Montale (così G. Contini definisce la lenta e tenace costruzione della strofa nelle sue poesie) esige una distribuzione dei toni nei versi che resta a lungo sospesa, con l’accresciuta difficoltà che viene dalla vicinanza di parole ricche di difficoltà articolatorie. “Pedale lungo” vale qui per il sostenere periodi meditativo-descrittivi di consistente portata prima di arrivare ai versi che indirizzano il senso finale della poesia (ben diversamente di quello che Montale farà nei Mottetti). Con pazienza e tenacia, la lettura procede rispettando il rapporto tra prosodia e sintassi, attraverso gli scogli dell’articolazione delle parole e del rispetto della relazione verso/sintassi. Si coglie uno dei punti portanti della poesia: non vuole risolversi in accensione lirica; quando potrebbe succedere, quando sembra arrivare, abbassa invece di nuovo il tono. È l’attesa del rivelarsi del senso alla vita, più ancora che una dichiarazione, al negativo, sulla sua mancanza di senso.

 

 

La classe 4B Sci – Liceo M. Grigoletti (PN) legge La spiaggia di Vittorio Sereni

Clicca qui per ascoltare

La spiaggia di Vittorio Sereni

Sono andati via tutti –
blaterava la voce dentro il ricevitore.
E poi, saputa: – Non torneranno più –
 
Ma oggi
su questo tratto di spiaggia mai prima visitato
quelle toppe solari... Segnali
di loro che partiti non erano affatto?
E zitti quelli al tuo voltarti, come niente fosse.
 
I morti non è quel che di giorno
in giorno va sprecato, ma quelle
toppe d’inesistenza, calce o cenere
pronte a farsi movimento e luce.
                                                     Non
dubitare, – m’investe della sua forza il mare –
parleranno.

 

Commento: Uno spunto di riflessione viene dalla tensione (qui rispettata, ma risolta infine un po’ frettolosamente) tra la costruzione della strofa, dove giustamente abbiamo una voce sospesa, meditativa, più che descrittiva, e la fine del giro strofico che riesce in una domanda. È qui che la voce rivela il punto di forza della prima parte della poesia: da una meditazione su un evento reale-visionario (la voce: blatera, e poi: saputa), dove il disagio di chi parla è trattenuto da una specie di stupore, si passa alla domanda sulla fine delle vacanze che è anche una perfetta domanda sulla fine della vita. Nella seconda parte è bene non forzare l’anacoluto (i morti non è), e nel complesso – forse l’ultima parola da pronunciare in modo meno frettoloso – la lettura segue la scansione di Sereni, sempre precisa, che lascia poco o nulla spazio alla forzatura espressiva. Quello che “passa” a chi ascolta è un aspetto decisivo della poesia: la sospensione tra visione e realtà, l’incertezza, la fragilità, arginate dalla fiducia nella vita e nella ragione.

Per vedere le videolezioni di Stefano Dal Bianco e Gian Mario Villalta clicca sui loro nomi a seguire: 

 Stefano Dal Bianco

 Gian Mario Villalta

 

Qui i file audio prodotti e il commento curatoriale

La classe 3FU – Liceo Leopardi Majorana (PN) legge Sonetto 279 di Francesco Petrarca

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Sonetto 279 (Se lamentar augelli…) di Francesco Petrarca

Se lamentar augelli, o verdi fronde
mover soavemente a l’aura estiva,
o roco mormorar di lucide onde
s’ode d’una fiorita et fresca riva,
 
là ’v’io seggia d’amor pensoso et scriva;
lei che ’l ciel ne mostrò, terra n’asconde,
veggio et odo et intendo ch’anchor viva
di sì lontano a’ sospir’ miei risponde:
 
«Deh, perché inanzi ’l tempo ti consume?
– mi dice con pietate – a che pur versi
degli occhi tristi un doloroso fiume?
 
Di me non pianger tu, ché’ miei dì fersi,
morendo, eterni, et ne l’interno lume,
quando mostrai de chiuder, gli occhi apersi».

 

Commento: Canzoniere, 279 è la scelta di un testo di Francesco Petrarca che magnifica la relazione tra metrica e sintassi: l’andamento prosodico trattiene dal “chiudere” l’ordine sintattico, e così esalta le contrapposizioni di tempi, luoghi, sentimenti. Una nota: “i miei dì fersi morendo eterni” forse avrebbe voluto una sospensione brevissima dopo “fersi”. Per il resto la lettura, pur mantenendo una certa rigidità, coglie il rapporto tra il movimento grammaticale e quello prosodico, producendo scelte espressive sempre calibrate. Petrarca è infernale, da questo punto di vista, e solo una lettura ad alta voce rende conto davvero delle sue magie stilistiche: non pronunciati come si deve, dopo averci ragionato, alcuni suoi versi sembrano privi di senso o di ragioni metriche adeguate. Petrarca è uno dei banchi di prova più difficili della nostra tradizione (pronunciare ad alta voce “il suono dei sospiri” che percorre tutto il Canzoniere non è facile, infatti).

 

 

La classe 2AU - Liceo Leopardi Majorana (PN) legge A Zacinto di Ugo Foscolo

Clicca qui per ascoltare

A Zacinto di Ugo Foscolo

Né più mai toccherò le sacre sponde
ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell’onde
del greco mar da cui vergine nacque
 
Venere, e fea quelle isole feconde
col suo primo sorriso, onde non tacque
le tue limpide nubi e le tue fronde
l’inclito verso di colui che l’acque
 
cantò fatali, ed il diverso esiglio
per cui bello di fama e di sventura
baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.
 
Tu non altro che il canto avrai del figlio,
o materna mia terra; a noi prescrisse
il fato illacrimata sepoltura.

 

Commento: Questo sonetto ha come difficoltà di lettura il modo in cui prende respiro l’attacco, frequente di accenti, con i tre monosillabi (né più mai) e come poi riuscire a distendere la voce, attraverso il lunghissimo periodo e i numerosi enjambement con i rejet abbastanza pesanti sulla lettura. Foscolo vuole “aprire” i versi a un’estensione che è insieme sentimentale e epica, protraendo al massimo il lungo periodo che fa da “premessa” alla dolorosa terzina dell’esule. La voce che legge non è matura, è sottile, sospesa a un filo, e forse enfatizza, per aiutarsi, un po’ troppo ogni fine-verso. Però non trascura i valori in gioco e porta fino in fondo una lettura che mostra la tensione tra l’intento classicistico (volontà di una forma stabile, monumentale, eloquente), e il sentimento, l’empatia, la nostalgia romantica che pervade il testo. La scelta di un attacco così scandito a pause offre motivo di riflessione

NOTA - Enjambement e Rejet. Enjambement: si rompe l’attesa corrispondenza tra la scansione metrica di un verso e il suo ordine sintattico, così che viene meno la coincidenza tra la fine di un verso e la chiusura sintattica della frase. Per i valori sonori si attenda a una sospensione del verso all’a capo / e alla ripresa nel verso successivo; forse si capisce ancora meglio dicendo che in italiano per molto tempo si usava “inarcatura dei versi” o “incavalcatura dei versi”. Il verso si tende “oltre” l’attesa chiusura coincidente di metrica e sintassi, e riprende la sintassi dentro la scansione del verso successivo. Per questo è importante valutare il rejet (l’inizio del verso seguente): sarà più vicino o più lontano dalle attese sonore e grammaticali e/o sarà più o meno intonato alla scansione del verso del quale è l’inizio.

 

 

La classe 2Cc - Liceo Leopardi Majorana (PN) legge L’infinito di Giacomo Leopardi

Clicca qui per ascoltare

L’infinito di Giacomo Leopardi

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.

 

Commento: La lettura dell’Infinito deve essere, come questa, lenta, con il rispetto di tutte le pause interne e di tutti gli incontri di vocali (i quali, quando non formano sinalefe, ottengono di dilatare il respiro del verso). Gli endecasillabi “sciolti”, cioè senza uso schematico della rima, richiamano la scansione classica del verso, che ha metrica quantitativa (dove domina non l’accento ma la durata della sillaba pronunciata) e il classicismo settecentesco rende con il rallentamento del verso e la repressione della “cantabilità”; però Leopardi sfrutta la lingua volgare (che ha metrica sillabico-accentuativa) per farla armonizzare mediante sonorità interne.

NOTA - Sinalefe: quando le due vocali, finale di una parola e inizio della successiva, si legano nella lettura in modo da formare un’unica sillaba (la sillaba è la coincidenza – o unità – tra una singola articolazione fonatoria e una singola emissione di fiato: diverse saranno quindi le sillabe di ogni singola parola da quelle della viva pronuncia di una frase).

 

La classe 3Acl - Liceo M. Flaminio legge  (Vittorio Veneto-TV) I limoni di Eugenio Montale

Clicca qui per ascoltare

I limoni di Eugenio Montale

Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.
 
Meglio se le gazzarre degli uccelli
si spengono inghiottite dall'azzurro:
più chiaro si ascolta il susurro
dei rami amici nell’aria che quasi non si muove,
e i sensi di quest’odore
che non sa staccarsi da terra
e piove in petto una dolcezza inquieta.
Qui delle divertite passioni
per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
ed è l’odore dei limoni.
 
Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s’abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.
Lo sguardo fruga d’intorno,
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno piú languisce.
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata Divinità.
 
Ma l’illusione manca e ci riporta il tempo
nelle città rumorose dove l’azzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s’affolta
il tedio dell’inverno sulle case,
la luce si fa avara – amara l’anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo del cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d’oro della solarità.

 

Commento: È una poesia che chiede una disciplina del respiro: il famoso “pedale lungo” di Montale (così G. Contini definisce la lenta e tenace costruzione della strofa nelle sue poesie) esige una distribuzione dei toni nei versi che resta a lungo sospesa, con l’accresciuta difficoltà che viene dalla vicinanza di parole ricche di difficoltà articolatorie. “Pedale lungo” vale qui per il sostenere periodi meditativo-descrittivi di consistente portata prima di arrivare ai versi che indirizzano il senso finale della poesia (ben diversamente di quello che Montale farà nei Mottetti). Con pazienza e tenacia, la lettura procede rispettando il rapporto tra prosodia e sintassi, attraverso gli scogli dell’articolazione delle parole e del rispetto della relazione verso/sintassi. Si coglie uno dei punti portanti della poesia: non vuole risolversi in accensione lirica; quando potrebbe succedere, quando sembra arrivare, abbassa invece di nuovo il tono. È l’attesa del rivelarsi del senso alla vita, più ancora che una dichiarazione, al negativo, sulla sua mancanza di senso.

 

 

La classe 4B Sci – Liceo M. Grigoletti (PN) legge La spiaggia di Vittorio Sereni

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La spiaggia di Vittorio Sereni

Sono andati via tutti –
blaterava la voce dentro il ricevitore.
E poi, saputa: – Non torneranno più –
 
Ma oggi
su questo tratto di spiaggia mai prima visitato
quelle toppe solari... Segnali
di loro che partiti non erano affatto?
E zitti quelli al tuo voltarti, come niente fosse.
 
I morti non è quel che di giorno
in giorno va sprecato, ma quelle
toppe d’inesistenza, calce o cenere
pronte a farsi movimento e luce.
                                                     Non
dubitare, – m’investe della sua forza il mare –
parleranno.

 

Commento: Uno spunto di riflessione viene dalla tensione (qui rispettata, ma risolta infine un po’ frettolosamente) tra la costruzione della strofa, dove giustamente abbiamo una voce sospesa, meditativa, più che descrittiva, e la fine del giro strofico che riesce in una domanda. È qui che la voce rivela il punto di forza della prima parte della poesia: da una meditazione su un evento reale-visionario (la voce: blatera, e poi: saputa), dove il disagio di chi parla è trattenuto da una specie di stupore, si passa alla domanda sulla fine delle vacanze che è anche una perfetta domanda sulla fine della vita. Nella seconda parte è bene non forzare l’anacoluto (i morti non è), e nel complesso – forse l’ultima parola da pronunciare in modo meno frettoloso – la lettura segue la scansione di Sereni, sempre precisa, che lascia poco o nulla spazio alla forzatura espressiva. Quello che “passa” a chi ascolta è un aspetto decisivo della poesia: la sospensione tra visione e realtà, l’incertezza, la fragilità, arginate dalla fiducia nella vita e nella ragione.

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